sabato 9 settembre 2006

Occhi apertamente chiusi

Esistono psicologi e psichiatri, soprattutto quelli porta a porta che fanno da complemento di arredo negli studi televisivi, che riescono a fare diagnosi stupefacenti, a distanza, solo guardando una persona parlare o sentendone la voce. Addirittura, se chiama una telespettatrice per il gioco delle scatole, da come dice “Pronto” riescono a capire da quanto tempo non fa l’amore col marito che sicuramente soffre di ejaculatio præcox.
Non parliamo poi dei casi di cronaca nera. Le assassine o presunte tali, i serial killer. Sono lì a darsi sulla voce: “Ma non vede esimio collega che l’increspatura del labbro in quel modo denota la ferita narcisistica non rimarginata del conflitto con la figura materna nato durante la scena primaria?” “Mi duole di contraddire l’illustre amico e collega, ma quando l’assassina piange è segno che gli dispiace assassinare”.
A me hanno insegnato che non si possono fare vere diagnosi a distanza, che per capire i problemi psicologici di una persona occorre prima di tutto averci a che fare faccia a faccia e parlarci, osservarlo e farci osservare, per il tempo necessario a capirci qualcosa, il che vuol dire spesso mesi o anni. Perché i traumi, i problemi, le fissazioni non sono (come diceva Totò) “fiaschi che si abboffano”. Guardando una persona in televisione mentre parla si possono al massimo cogliere i piccoli e grandi segnali della comunicazione verbale e non verbale come il tono di voce, dove guarda, dove tiene le mani, per farsi un’idea del suo stato emotivo attuale. Bisogna tenere presente che in televisione c’è sempre un certo stato d’ansia da prestazione, che si sta comunque “recitando” un ruolo, che non si è necessariamente sinceri.
A parte tutti questi buoni propositi, l’altra sera, quando hanno trasmesso in televisione l’intervista a Natascha Kampusch, la ragazza che, secondo le cronache, ha trascorso gli ultimi otto anni in balìa di un pazzo che l’aveva sequestrata ancora bambina, non ce l’ho fatta e ho dovuto fare il mio esercizio diagnostico. Dev’essere una deformazione professionale di noi strizzacocuzze.
Natascha si è presentata con quel foulard in testa che tanto ha sconvolto le giornaliste-parrucchiere (alopecia precoce? pidocchi presi nello scantinato? Tinta venuta male?). A me è sembrato solo un modo per attirare l’attenzione o per sviarla dagli argomenti forti, un depistaggio emotivo.
La sua immagine televisiva, quella che ha voluto mostrarci, mi ha fatto una strana impressione.
Mi è sembrata una ragazza indubbiamente cresciuta, molto bella anche, ma che è rimasta dentro, nel profondo, quella bambina di otto anni fa. Una ragazza che, nonostante dicono sia rimasta segregata per anni, dimostra di saper interagire con gli altri in maniera sorprendente, con modi perfino da paracula. Non una Kaspar Hauser qualsiasi, insomma.
E soprattutto che conosce solo la seduzione come mezzo di comunicazione. Nonostante l’atteggiamento di difesa, le gambe accavallate e le mani che serravano le ginocchia, è stata molto seduttiva con l’intervistatore, un biondo bietolone teutonico e… come dire, sembrava più che un intervista alla vittima di un sequestro, un provino.
Non ha detto di voler fare l’attrice? Ancora seduzione. Dico tutto di me o non lo dico? Mi scopro o, perché no, mi copro i capelli? Il massimo della seduzione.
Dicono che in questi lunghi anni si sia cibata poco di cibo e molto di televisione, strumento di seduzione e veicolo di modelli di seduzione per eccellenza.
La lezione dei “15 minuti di notorietà che non si negano a nessuno” di Andy Warhol pare averla assimilata bene. E anche quella che “se non vai in televisione in fondo non sei nessuno”.

Ciò che trovo allucinante è che una persona a pezzi emotivamente, che deve ricostruirsi da capo e con tale visione distorta dei rapporti con il prossimo venga sbattuta in prima serata proprio in televisione, con la benedizione degli psicologi che la seguono: non uno, che farebbe già abbastanza danno, ma addirittura dieci. Il povero Sigmund si rivolterà nella tomba.
Quale sia stato il suo vero rapporto con l’uomo che l’ha sequestrata non lo sapremo mai, si possono solo fare delle ipotesi. Ma si sa purtroppo che in questi casi a volte i ruoli possono rovesciarsi. Il seduttore diventa sedotto, diventa molto sottile la differenza tra vittima e carnefice, ricordate “Il portiere di notte”? Si creano legami incomprensibili a chi non ha vissuto la stessa esperienza. Chi ha subìto l’abuso si convince di essere onnipotente, di aver avuto il potere di aver fatto perdere la testa a qualcuno, quindi di poter sedurre tutti. In ogni caso sono esperienze i cui effetti devastanti hanno bisogno di anni per essere compresi e guariti.
Penso che Natascha abbia cercato sempre di difendersi, lo dimostrano quegli occhi che lei chiude ritmicamente mentre parla. Occhi che sono “apertamente chiusi” come il magistrale titolo del film di Kubrick (Eyes Wide Shut), che vedono ma non vogliono guardare. Oppure che erano semplicemente offesi dalle luci troppo forti dello studio.

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